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domenica 3 dicembre 2006

LIEVE


In una sera di autunno inoltrato Giovanni è al suo computer. La camera è buia, un cono di luce chiara cade sul panno verde del tavolo illuminando la tastiera, il monitor e il foglio bianco che questa volta non riesce a riempire.

Giovanni si chiede se è possibile raccontare un sentimento, uno stato d’animo o l’immagine che ti passa per un solo attimo lì davanti agli occhi e in realtà non esiste ma ce l’ha messa il tuo cervello sul cofano della macchina, mentre guidi nelle strade buie tornando verso casa. I fari illuminano un tratto di asfalto, un’auto che non avevi notato ti si mette davanti e così inizia il tuo film interiore.

Giovanni vorrebbe scrivere di quando pensa alla sua giovinezza e la paragona ad un attore maturo sul palco di un teatro di medio livello che recita la sua parte. Racconta una storia ad un pubblico attento. La commedia presto volgerà al termine e l’attore, con movimenti studiati pronuncerà l’ultima frase ad effetto, poi si inchinerà più volte ringraziando e sparirà dietro al sipario.
E tutto questo accadrà con estrema delicatezza. Con un docile ed inesorabile movimento, l’attore uscirà di scena lasciando un profumo, la scia, il caldo o la luce che magicamente entreranno in Giovanni o meglio nel suo corpo segreto, troveranno un comodo rifugio e lì si tratterranno per lungo lungo tempo.
Giovanni s’immagina sempre spettatore di prima fila, come ai concerti o agli spettacoli che gli piacciono tanto; all’inizio si fa trascinare dall’armonia e dalla musica, segue il balletto e ascolta le parole commuovendosi o ridendo a seconda del caso poi comincia a pensare con ansia a quando finirà. Lui vorrebbe che non finisse mai e invece un pensiero –di quelli cattivi- si impadronisce di lui, lo assilla, non gli fa godere lo spettacolo sussurrandogli che manca sempre più poco.
Cerca ansiosamente qualche scappatoia, un modo per prolungare quel momento, un bis, o un espediente che fermi il tempo, che lo allunghi. Come gli capita in queste occasioni, capisce che non può fare niente e quando si rende conto di questo l’ansia automaticamente finisce e lui si gode la parte finale dello show!!

Giovanni vorrebbe chiedere aiuto mandando un messaggio a qualcuno, e che qualcuno gli faccia capire che cosa a accade ad aprile, quando sa, lo sa! Che sta per avvenire qualcosa; che arriverà una ragazza mora e che lui l’attenderà sotto la statua di Garibaldi in stato di tachicardia, col respiro corto e quando lei verrà lui non riuscirà mai a pronunciare le parole che si era preparato cambiandole numerose volte. Le dirà cose banali ma poi, tornando a casa andrà col ricordo a poche ore prima e quelle cose cominceranno ad avere un senso ed un valore e, come il vino, più passeranno gli anni e più diventerà buono andarle a rispolverare e a gustare centellinandole a poco a poco.
E perché questo lui se lo aspetta solo ad aprile? Accade o non accade ma lui è in quel momento che sente di poterlo ottenere.

Perché si domanda Giovanni, dopo un film bello o dopo una buona lettura si sente come in un acquario. Passa la gente e lui la vede rallentata, osserva le persone nelle macchine e sembrano creature lunari dentro una palla di vetro; percepisce i loro movimenti ma non gli arrivano i suoni e gli stessi loro gesti sembrano non appartenere a questa terra.

Questo vorrebbe raccontare Giovanni e gli piacerebbe avere un lampionaio a cui porre le sue strane domande, che gli sappia dare una risposta.
Ma questa sera, avanti al foglio elettronico bianco, non riesce a trovare una storia dove mettere i suoi pensieri e la sua malinconia…

Vorrebbe anche capire che cosa accade alle creature e alle piante in questa magica fase dell’anno che è l’autunno inoltrato. Si sente avvolto nel buio e nel mistero della sua città, dei giardini che circondano la casa, delle persone che quasi non riconosce o che improvvisamente non trova più.
Una insolita ansia si impadronisce di lui, attende che qualcosa di spiacevole capiti e, ogni giorno che diminuisce la luce, questa sensazione emerge come un profondo tamburo di grancassa, poi diventa pungente al pari di un timpano. Lo stesso capita –gli sembra- alla piante del suo terrazzo. Vede ancora i fiori ma le immagina presentire la imminente spoliazione.
In realtà Giovani non ha nulla da temere ma tutte le ansie e le angosce che ha sotterrato durante l’anno, poiché non aveva tempo da dedicare loro, emergono ora e ciò non succede come un tumulto ma lievemente.
Come è lieve il cadere di una foglia dell’ippocastano.

Giovanni vorrebbe raccontare ai suoi amici la sensazione del freddo, quando le lenzuola non ti danno che tormento e non basta tutta una notte, rannicchiato in una unica posizione per riscaldarne almeno una parte, vorrebbe dire del blu delle mattine di febbraio o di come diventa ghiacciata la ringhiera tubolare della scala di casa sua, mal riscaldata per una perenne condizione di precarietà economica.
Vorrebbe parlare, Giovanni, del conto alla rovescia che comincia il 2 gennaio e che vede la sua fine verso la prima decina di marzo e della primavera che lui, barando, fa arrivare dieci giorni prima.
Però non vorrebbe descrivere propriamente il freddo ma l’attesa… dell’arrivo… del freddo.

E tante altre cose gli piacerebbe dire. L’allegria dei suoi amici al calore del caminetto quando si riuniscono tutti a cena, le giocate a carte che fanno solo in periodo invernale, la cioccolata calda in tazza incandescente o la polenta fumante e centrale, condita con tanto sugo dove ognuno affonda le salsicce.

Ma questa sera non riesce a scrivere proprio niente. Non gli viene una storia breve e, se gliene capita in mente una, allora questi pensieri e sensazioni si affollano nel racconto e soffocano i personaggi. Ma ne ha bisogno perché i suoi “sentimenti” gli girano veloci nella testa e, cercando nel vortice una via di uscita, aumentano la pressione che lui avverte come uno stato febbrile.
Quindi rimane per ore con le mani sulle tempie seduto avanti al suo computer.

E’ molto stanco e il foglio elettronico ancora bianco quando appoggia la schiena alla spalliera della sua poltrona.
Una linea acquosa gli scivola via dagli occhi senza produrre rumore né alcun movimento facciale.

Lentamente conquista il suo sonno. LIEVE, il sogno viene a vistarlo.




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